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Matteo e pietro

  • Valorizzare 1° anno
  • 26/04/2025


La testimonianza della mamma di un bambino che è stato accompagnato nella crescita dal dottor Matteo Faberi nel primo anno di vita.

La prima volta che ho portato Pietro da Matteo è stato uno shock, un vero shock.

Non vedevo Matteo dai tempi del Liceo, circa 10 anni prima, e avevo un ricordo di lui di un ragazzo timido, dimesso, una di quelle persone che osserva ma rimane “sulle sue”. Sapevo dei suoi studi, delle sue ricerche e mi ero ripromessa di portare il mio bambino appena avessi potuto, per appurare che fosse tutto a posto: avevo sentito di neonati stati da lui, visitati e stimolati per verificare che le loro risposte fossero allineate con le competenze delle fasi evolutive e della loro età; eventuali ritardi o disturbi nelle risposte potevano essere ricondotte a traumi durante la gestazione o il parto che non sempre sono riscontrati.

Mi sembrava quindi utile e intelligente un controllo su Pietro nonostante gravidanza e parto fossero stati regolari.

Arrivo nel suo studio con il mio piccolo di un mese e già trovo una persona diversa dai miei ricordi: un uomo sicuro di sé che osserva e ascolta, ma non si risparmia su valutazioni e giudizi anche scomodi, qualità che da sempre apprezzo.

Guarda Pietro, lo saluta, inizia a parlare con lui senza quelle smorfie e vocine che solitamente caratterizzano gli approcci adulto- neonato: parla con lui esattamente con le stesse parole e tono che usava con me. Ritengo la cosa singolare, nascondo una certa ilarità, ma proseguo con la visita.

Matteo mi chiede di portare Pietro nel suo laboratorio ed entro in una stanza che non potrei definire diversamente da laboratorio, un luogo dove si lavora: più che lo studio di uno psicologo questo spazio si avvicina a una classe atipica, per alcuni versi montessoriana per la massiccia presenza di legno, materiali naturali, giochi di una volta, cassetti e scaffali etichettati, disegni di bambini alle pareti. Adagio Pietro su un materassino a terra, e Matteo inizia a dialogare con lui, lo gira su sé stesso gli pone davanti al viso oggetti, strumenti e continua questo dialogo in una lingua a me sconosciuta, composta da sillabe, canti, lallazioni. Lo chiamo dialogo perché Pietro partecipa, segue, sembra colpito e attento, e io più di lui. Matteo lavora con lui per un’ora circa, e quando il piccolo inizia a lamentarsi, capisce che ha lavorato abbastanza e che forse è stanco; mi dice che a questa età un’attività simile è come una lezione in classe e che alcuni esercizi sono paragonabili a problemi di matematica che da una parte stimolano l’attività celebrale, ma dall’altra affaticano. Stento a credere totalmente a queste parole, mi riservo di pensarci in un secondo momento perché volevo conoscere le osservazioni da lui riscontrate. Matteo mi dice che Pietro risponde agli stimoli per la sua età e che sta bene, ma mi chiede se ha avuto qualche episodio che riguardi il braccio destro: con stupore gli rispondo che durante il parto Pietro aveva il braccino sulla testa e che questo ha prolungato la fase finale del parto; lui aveva intuito la cosa e mi consiglia degli esercizi da fare con lui per portare la funzione del braccino alla sua totale capacità.

Poi mi descrive il suo lavoro, le sue ricerche e ci chiede se siamo disponibili a collaborare per alcuni mesi con una cadenza di una o due volte a settimana: mi spiega che seguire un bambino senza patologie o problemi lo aiuterebbe a condurre e ampliare i suoi studi e ad aiutare bambini con difficoltà. Senza indugio e senza pensarci troppo accetto la collaborazione, forse colpita dalla straordinarietà dell’incontro e dall’opportunità di conoscere un mondo nuovo, ben al di là dei libri e delle riviste sui quali mi ero documentata come neomamma. Naturalmente chiede la stessa cosa a Pietro, gli spiega cosa avrebbero fatto insieme e gli dà un suo biglietto da visita plastificato dicendogli di prenderlo quando avrebbe voluto parlare con lui.

Inizia così la nostra storia con Matteo, una storia fatta di giochi, canti, paroline, sillabe, pianti, telefonate, giochi da portare a casa e da riproporre, scale (che paura la prima volta che gli ha fatto fare le scale da solo!), rotolamenti, passi e ancora parole, numeri e colori... Matteo e Pietro si sono incontrati con costanza per circa due anni, io ho poi avuto altri due figli ai quali, con rammarico, non ho potuto concedere il privilegio di frequentare Matteo se non per le prime visite iniziali di controllo che mi sento di consigliare a tutti i genitori.

Pietro ha iniziato a parlare presto, Matteo dice che la prima volta che ha detto mamma aveva tre mesi, io dico quattro, ma comunque molto presto; la cosa inconfutabile però è che Pietro ha da subito parlato benissimo, senza una distorsione di pronuncia, tipica e normale per l’età, ma con una chiarezza e una correttezza impressionante. Mi ricorderò sempre che degli amici erano rimasti sconvolti da come conoscesse e pronunciasse perfettamente il nome dei suoi attrezzi di stoffa, martello, pappagallo, cacciavite, senza nessuna difficoltà a poco più di un anno.

Pietro oggi ha 11 anni, è molto intelligente e soprattutto ha una capacità logica fuori dal comune; ogni bambino ha il suo carattere e le sue peculiarità, ma mio marito ed io abbiamo sempre associato alcune sue capacità al lavoro condotto con Matteo perché siamo convinti che senza di lui queste qualità di Pietro sarebbero rimaste latenti, mentre lui le ha portate alla luce prestissimo, permettendogli di acquisire sempre più competenze e quindi sicurezza di sé. E’ anche un testone caparbio e orgoglioso che fin da piccolo cerca la sua autonomia e la conquista dei suoi spazi, cosa che non è così evidente nei fratelli più piccoli e che quindi credo sia un altro regalo di Matteo che ha lavorato con lui sulle sue pigrizie, i suoi capricci e la tendenza a non concludere un’attività saltando da un gioco all’altro: Matteo osservava, osservava ancora e poi proponeva una serie di strategie ed esercizi per lavorare.

Perché quello di Matteo è proprio un lavoro nel significato etimologico del termine: un lavoro che conduce con i bambini e con i genitori, a volte uno sforzo e una fatica difficile da capire in un primo momento, ma fruttuoso con il tempo. E’ un lavoro di scoperta e di costruzione di sé, non solo per bambini, ma anche per i genitori che iniziano un nuovo percorso di vita su cui è impossibile essere preparati. Infine, è un lavoro di conoscenza profonda di sé, perché Matteo aiuta a portare alla luce ciò che ognuno ha dentro e che lui con pazienza e caparbia aiuta a far emergere contribuendo così alla realizzazione dell’opera meravigliosa che ognuno è.

Veronica          

 

 

​Sono Matteo Faberi, psicologo,
laureato in Scienze dell'Educazione e Psicologia Clinica e dell'Educazione.
Sono iscritto all'Albo degli Psicologi
della Lombardia al ​n. 03/14707

 

 

È per me importante responsabilizzare i bambini e i ragazzi fin da subito:

 quando sono in grado,

sono loro a prendere e disdire gli appuntamenti, non i genitori.